Di noi tre.
Ogni tanto, come esercizio, vale la pena tirare giù dallo scaffale un libro già letto, casomai diversi anni prima.
Insomma con la giusta distanza.
Mi sono, così, imbattuto in Di noi tre (1997 – Mondadori) di Andrea De Carlo.
Erano gli anni in cui tutto ciò che l’autore produceva era osannato da critica e pubblico.
Nel caso specifico è la storia d’amicizia dei tre protagonisti (Misia, Marco e Livio, quest’ultimo voce narrante del romanzo) che abbraccia un periodo di trent’anni.
Alcuni romanzi non passano mai di moda, come certi capi d’abbigliamento o poche automobili.
Restano attuali, profondi, spinosi, ben scritti, dei meravigliosi compagni di viaggio che in loro compagnia ti viene voglia di accendere il camino e versare un paio di calici di vino rosso.
Anche se è Agosto.
Di noi tre, a mio avviso, dimostra tutti gli anni che ha.
A proposito di vino, è uno di quelli (non dico fatti male) che appena se ne beve un sorso non rimane la minima persistenza sul palato.
Vola via senza lasciare nulla nella memoria.
Nonostante il romanzo sia intriso di cambi di direzione repentini e moltissimi intrecci molto spesso portati all’esasperazione.
Insomma è stato come rimanere chiusi in una stanza con un gruppo di persone che non smette di urlare.
Tante voci, difficile capirne il senso.
Un altro difetto che ho trovato è stata la lunghezza eccessiva.
Troppe pagine, troppi giri a vuoto.
Qualora vi voleste cimentare in un esercizio simile mi permetto di lasciarvi una nota: assicuratevi che il libro che avete appena finito di leggere sia adeguato al successivo.
Nel mio caso, Di noi tre è stato preceduto da La luna e i falò di Cesare Pavese.
Ecco, un pò di responsabilità ce l’ho anche io.
Concludo dicendo che Andrea De Carlo è un ottimo autore che ha scritto dei romanzi molto, molto belli.
Cosa che Di noi tre purtroppo non è.